Un Rito di Misraïm, un mito sulle sue origini

[già apparso su Iside, n.0]

Le origini del Rito di Misraïm sono oltremodo oscure e misteriose, alcuni le fanno risalire alla Napoli del XVIII secolo, nel cui humus esoterico, effervescente, agivano personaggi come il barone Henry Theodore Tschudy[1], Luigi d’Aquino di Caramanico e l’ogni presente Raimondo di Sangro, principe di Sansevero. Vi è anche chi lega le scaturigini del Rito di Misraïm a una altrettanto misteriosa loggia – La Perfetta Unione – che sarebbe stata fondata a Napoli nel 1728 e che, di conseguenza, sarebbe stata la più antica officina italiana[2]. In realtà La Perfetta Unione è frutto di un’invenzione ottocentesca e di un sigillo di loggia falso, giacché è l’adattamento di una medaglia celebrativa della seconda metà dell’Ottocento.
Un altro elemento fondamentale della mitogenesi del Rito di Misraïm è il conte di Cagliostro, i cui richiami all’Egitto sono ben noti come pure il titolo di ‘Gran Cofto’ che il Siciliano coniò per il suo particolare Rito massonico, ma da qui a dimostrare che a Napoli siffatto personaggio passò ad altri arcani segreti, la strada è lunga, anche se queste ipotesi suggestive sono state accreditate da personaggi celebri ad iniziare da Robert Ambelain[3]; inoltre del loro vi misero anche figure celeberrime quali Jean Marie Ragon, la cui preparazione era pari una astiosa faziosità[4].
Vi è poi la teoria più concreta, ma anch’essa scarsamente documentata, che il Rito di Misraïm sia nato a Venezia e abbia avuto fra i suoi facitori Gerolamo Zulian e Marco Carburi[5]. Fra una tale ridda di ipotesi una cosa rimane certa: questo sistema di alti gradi ebbe origine nella Penisola, grazie alla sinergia di elementi diversi per origine ed esperienze massoniche. Fra teorie e leggende, vi è una storia che colloca in Toscana lo scaturire la prima scintilla dell’affascinante sistema degli alti gradi “degli Egiziani[6]”. Per procedere con ordine su siffatta narrazione bisogna risalire all’ultimo anno del xviii secolo, mentre era ancora in corso la campagna d’Egitto. Infatti il 14 gennaio del 1799 sbarcò a Livorno l’ufficiale francese Marc Bédarride, che il 14 gennaio del 1799 fu nominato capitano dell’esercito della Repubblica napoletana. In seguito Marc partecipò alla battaglia di Marengo dove comandò con valore il xviii reggimento di fanteria di linea. Uno degli aspetti più interessanti di questo personaggio, appartenente a una famiglia provenzale di origine sefardita, fu la profonda cultura. Egli era difatti un egittologo, uno studioso di esoterismo e un massone, tanto da diventare membro onorario della Loggia Saint Napoleon che si riuniva a Firenze in Palazzo Cocchi Serristori. In seguito Marc, insieme al fratello Michel, diffuse in Francia il Rito massonico di Misraïm[7], accreditando la leggenda che il complesso sistema di alti gradi fosse dovuto “a un superiore incognito egiziano, un personaggio dotato di eccezionali poteri e di arcane conoscenze, il cui nome mistico era Ananiah[8]”. Durante la sua permanenza in Toscana Marc Bédarride ebbe modo di conoscere i conti pisani Agostini Venerosi della Seta proprietari – fra l’altro – della villa di Corliano. Egli, in vero, era un frequentatore dei bonapartisti di alto rango che s’incontravano nella ghiacciaia del Caffè dell’Ussero, ospitato al piano terra del palazzo che la nobile famiglia possedeva sui lungarni della città di San Ranieri. Inoltre Bénarride era in corrispondenza epistolare con Francesco Agostini, console di Toscana ad Alessandria d’Egitto; la conoscenza era tale che nel 1798 l’ufficiale francese acquistò da Giovanna Brandi, moglie del prefato console, delle antichità fra le quali “idoli etruschi di terracotta con caratteri definiti greci e arabi[9]”. Si sa che Marc Bénarride, insieme al fratello Jacob e a Mathieu de Lesseps, partecipò nel 1801 a una riunione di tutte le Logge della Toscana. All’incontro fu presente anche il nobiluomo modenese Giulio Cesare Tassoni, figura emblematica dell’esoterismo massonico dei primi dell’Ottocento, in quanto, per Gastone Ventura, nello stesso 1801, con lo pseudonimo di Filatete Abraham, avrebbe fondato a Venezia il Rito di Misraïm[10]. L’evento sarebbe stato fondamentale in quanto sarebbero venute a contatto le suggestioni egiziane di Bénarride con la tradizione occultistico-esoterica di Cagliostro che, specie in Italia centro-meridionale, era stata ben elaborata e in parte già strutturata. Secondo una tradizione orale della famiglia Agostini Venerosi della Seta la riunione si sarebbe tenuta nel granaio della villa di Corliano. Su tale notizia indagarono – all’inizio del Novecento – il conte Alfredo Agostini, l’allora sovrintendente alle belle arti di Pisa Igino Supini e lo studioso di storia locale Clemente Lupi. Le ricerche cessarono però per la prematura dipartita di Alfredo, avvenuta il 25 marzo del 1903[11]. La villa di Corliano avrebbe dunque fatto da atanor, integrando esperienze diverse; inoltre avrebbe operato da catalizzatore, grazie alle sue notevoli suggestioni esoteriche. Un rito misterioso, infatti, non poteva che nascere, o accrescersi o precisarsi se non in un luogo misterioso e la villa di Corliano lo è. Sorta alle falde della montagna pisana, terra di leggende e di segreti, in un luogo che già conobbe insediamenti etruschi, la villa ha una struttura enigmatica, si presta a un particolare giuoco di luce nei momenti topici dell’anno e ospiterebbe, secondo una consolidata tradizione, particolari presenze. Come se ciò non bastasse il grande salone fu affrescato da Andrea Boscoli, pittore forse minore, ma di grande perizia e estremamente colto che seppe tradurre in immagini e colori concetti, simboli e probabilmente messaggi criptici. Si racconta che – durante la permanenza a Corliano – Marc Bédarride sia rimasto colpito proprio dagli affreschi. Il Francese avrebbe ammirato a lungo Il simposio degli dei e avrebbe notato i vassoi appoggiati a una piattaia, verso i quali rivolgono lo sguardo Saturno e Febo. I due numi sembrano attratti da uno dei vassoi che reca nella cornice una scritta di difficile lettura e interpretazione. Secondo il professor Ottavio Bianchi andrebbe così letta: “amante nostro ami la st(ring) in mano”, questa frase apparentemente oscura comproverebbe l’intesa fra Pietro della Seta e l’Accademia degli Svegliati.
Oltre due secoli fa, Marc Bédarride, invece, non si sarebbe soffermato sull’epigrafe, ma avrebbe individuato nel decoro del vassoio chiari simboli rosacrociani. È difficile condividere siffatta ipotesi, giacché dietro il fiore in primo piano che, con beneficio d’inventario potrebbe essere una rosa, appare forse una stella. D’incerta interpretazione rimane poi la parte superiore dell’ornato che presenta dei semicerchi mammellonari: potrebbero essere semplici decori o, al contrario avere un senso e indicare un principio di centralità, o una capacità d’irradiamento, di trasmissione[12]. Fatto sta che tutto il complesso pittorico della volta e delle pareti del salone sembrano voler comunicare un messaggio nascosto che potrebbe essere còlto solo da chi ha varcato una determinata soglia ed è in possesso degli strumenti necessari per comprendere il significato profondo di simboli e allegorie. È dunque suggestivo pensare che Marc Bédarride e Filatete Abraham sotto quella volta abbiano portato avanti un disegno che già da tempo era in fieri, abbiano cioè cavalcato l’idea di creare o di diffondere un rito massonico complesso, con elementi che s’ispiravano ad antiche tradizioni esoteriche. Questa ipotesi è solo un’ulteriore suggestiva leggenda, fino ad oggi manca ogni supporto documentale e una storia senza fonti non può esistere. Rimane però un fatto: a ben guardare negli affreschi di Corliano vi sono elementi che rimandano a percorsi, aspetti, momenti graduali del Rito di Misraïm; forse è solo l’ennesima suggestione o un singolare gioco della casualità. Rimane, tuttavia, il fatto che alla base di ogni leggenda vi è sempre un fondamento di verità e il mito, come scriveva Mircea Eliade[13], è un atto fondativo, con una sua carica di sacralità che poi si riverbera su chi è a conoscenza del mito stesso. Pertanto, al di là di ciò che realmente accadde all’inizio del XIX secolo nella verde campagna pisana, la villa di Corliano con gli affreschi di Andrea Boscoli, rimane un luogo emblematico che sembra confermare l’assunto guenoniano di una tradizione primigenia che emerge, con i suoi archetipi, in ogni tempo e ad ogni latitudine[14].

Luigi Pruneti

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Note:

1 Autore del Catechismo ermetico-massonico della Stella fiammeggiante. Cfr. H. T. Tschudy, Il catechismo ermetico-massonico della Stella fiammeggiante, Roma 1984.
2 Cfr. R. Di Castiglione, Alle sorgenti della Massoneria, Roma 1988.
3 J. Castelli, La Franc-Maçonnerie et les rites égyptiens de Cagliostro, Montelimar 2007.
4 J. M. Ragon, Tuilleur general de la Francmaçonnerie ou Manuel de l’initié contennant l’origine identique de l’Ecossisme et de Misraïm etc. Paris 1861, pp. 234-252.
5 G. Ventura, I Riti massonici di Misraïm e Memphis, Roma 2009, p. 13 e segg.
6 Misraïm, deriva da “misr” egiziano.
7 Encyclopedie de la Franc-Maçonnerie, a. c. di E. Saunier, Paris 2008, p. 745.
8 L. Pruneti, Gli Iniziati. Il linguaggio segreto della massoneria, Milano 2014, p. 105.
9 C. Zaccagnino, Il catalogo de’ bronzi e degli altri metalli antichi di Luigi Lanzi. Dal collezionismo mediceo al museo pubblico lorenese, Firenze 2010, p. 126 e segg.
10 L. Pruneti, Gli Iniziati … cit, p. 105.
11 L. Pruneti, I segreti della villa di Corliano, in “Rosa Mystica”, n. 2, febbraio 2015, p. 49.
12 Graffiti simili sono individuati in contesti medievali, ma sembrano avere significati del tutto diversi. Cfr. A. Giacomini, Enigma templare, Sator, Carmagnola 2000; A. Giacomini, Sator, codice templare, Latina 2004.
13 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, a. c. di P. Angelini, p. 372 e segg.
14 R. Guenon, Iniziazione e realizzazione spirituale, Torino 1967, p. 102; R. Guenon, I simboli della scienza sacra, Milano 1975, p. 76; R. Guenon, Oriente e Occidente, Torino 1975, p. 235; cfr. E. Zolla, Che cos’è la Tradizione, Milano 1971, pp. 108-122; N. Venturi, Tradizione e iniziazione, in René Guénon e il suo messaggio. Atti del primo convegno di studi tradizionali, Genova 30 marzo 1979, Genova 1979, pp. 75-76.


Sheta - Un Segreto

La parola Egizia Sheta tradotta, significa segreto, non ha il senso generalmente inteso nelle nostre lingue , ossia di ciò che è nascosto ma è ciò che è inaccessibile. È inaccessibile ciò che non possiamo toccare, raggiungere o conoscere per mancanza di mezzi.
Molti erano i Segreti custoditi nei Templi dell’antico Egitto e l’immagine di Horus Bambino che ci invita a tacere, può anche indicare che i Segreti Sheta di HEKA (la magia) che permeava tutto il sapere Sacerdotale e Faraonico, non potevano essere rivelati, ma che dovevano essere custoditi nel Tempio perché inaccessibili ai non iniziati. La vera magia era la scienza del gesto giusto e della parola giusta al momento giusto.
Il Cammino degli iniziati nei Templi egizi era arduo e difficile oltre che molto lungo e tendeva a mettere in luce il dramma delle due volontà; la volontà personale o desiderio e la volontà di Luce. Duello tra l’Automa ed il Testimone Spirituale. Lo scopo era il superamento del duello, il completo risveglio e l’unificazione della coscienza dell’Io e del Se.
L’insegnamento nelle scuole dei Templi dell’occhio destro e dell’occhio sinistro educava gli studenti selezionati ad ottenere in primo luogo la padronanza totale del corpo fisico e della mente, distruggendo o modificando le abitudini che costituiscono la parte egoica dell’uomo comune. Le istruzioni riguardavano alcune posture che dovevano essere rispettate e alcune prassi che poi furono trasmesse anche dai pitagorici come quella dell’esame serale della giornata.
Attraverso la pratica dell’immobilità del corpo fisico, dei pensieri, delle emozioni del completo silenzio interiore si apprendeva l’arte sottile di “parlare con se stessi” svegliando a poco a poco l’Io spirituale e si otteneva la completa padronanza dell’Automa. Il potere inibitorio sui propri pensieri, l’esame costante del contenuto della mente, l’introspezione continua, portavano , e posso dire, portano, poco a poco ad invertire il flusso della corrente sensoria verso l’interno. Il Silenzio diviene un utero poiché è nel Silenzio che bisogna ascoltare e tenere in gestazione ciò che solo esso fa conoscere. Bisogna imparare a “covare” in silenzio il proprio tesoro che non si manifesta immediatamente ma che con pazienza e perseveranza si manifesterà. Successivamente si doveva sviluppare la Volontà.
Volere non è desiderare. Desiderare appartiene alla parte egoica dell’uomo. Quindi all’Automa che soddisfa i propri bisogni.
Volere è la coscienza pura, è il Fuoco interiore che doveva essere riacceso. Per gli Egizi svegliare il Fuoco era “CONOSCERE IL PROPRIO NOME”, conoscere la propria vibrazione o come dice Giovanni nell’Apocalisse “A colui che vincerà io darò da mangiare dell’albero della vita che è nel mezzo del Paradiso di Dio. Gli darò un sasso bianco sul quale sarà scritto un nome che nessuno conosce se non quello che lo riceve”. Conoscere il proprio nome era entrare nella Camera del Fuoco a lato del Sancta Sanctorum, ovvero nel Per-Neser del Tempio, la camera rossa ove l’iniziato - dopo aver sostato tutta la notte - riceveva il proprio nome. Da quel momento l’iniziato diveniva cosciente della propria Volontà del proprio Daimon e della propria origine celeste. Il nome non doveva essere rivelato a nessuno poiché chi conosce il nome ha potere sull’individuo o sulla cosa. Iside carpì il nome segreto di RA ed ebbe il potere su di esso. Anche in Genesi viene ribadita l’importanza del nome, potere affidato ad Adamo, che diede un nome agli animali. Questo era uno dei maggiori segreti custoditi dal Tempio. Per comprendere meglio il concetto del Segreto del Nome, tutelato dalla classe sacerdotale e regale dell’Egitto dobbiamo risalire a dei concetti essenziali sulla costituzione occulta dell’uomo secondo la scienza sacerdotale.
All’interno dei “Testi delle Piramidi” ed in particolare nel corridoio della piramide di Unas che risale al 2640 a.C. e nella tomba di Pepi I a Saqqara si trova raffigurata per la prima volta la descrizione della costituzione sottile dell’uomo e la denominazione dei corpi sottili.
Questa conoscenza era uno dei segreti della classe regale e sacerdotale; successivamente nel periodo del nuovo Regno attraverso il testo più famoso “Libro dei Morti” o più correttamente il libro” per venire alla Luce” alcune di queste conoscenze furono rese note ad altre classi sociali. L’uomo è costituito da una serie di corpi che si compenetrano l’un l’altro e che essi chiamavano “le pelli”. Il primo corpo, il più denso, costituito dai quattro elementi, era detto XAT. È il corpo fisico, definito anche contenitore dei corpi sottili, ed è l’unico corpo di cui l’uomo comune abbia coscienza.
Il KA è il doppio ovvero il corpo eterico. La nostra stella fiammeggiante. Il KA come geroglifico rappresenta le braccia alzate in segno di adorazione. È un segno che anche noi conosciamo bene e che abbiamo appreso nel grado di Maestro.
Il BA o anima sensitiva o animatrice è un principio puramente spirituale al di là della Natura.
L’IB è il cuore spirituale che come un vaso raccoglie ciò che proviene dai piani superiori e che viene pesato nella Duat al momento della morte (anche iniziatica); è sede dell’intelligenza del cuore o intuizione. Al momento della pesatura, il cuore IB doveva essere piu’ leggero della piuma. Non doveva contenere nulla poiché tutto ciò che l’alto aveva riversato in esso doveva essere riversato e non trattenuto per sè stessi.
Ed infine Il REN – ovvero il nome segreto o l’individualità rappresentato dal geroglifico della bocca che sovrasta la vibrazione originale. REN è il nome segreto sconosciuto al portatore, ed è la vibrazione propria di ognuno di noi. È il Verbo, e forse proprio la Parola Perduta.
La conoscenza sperimentale di ognuno degli stati elencati costituiva i diversi gradi della maestria. Ma questa vibrazione dell’origine dove è contenuta? E soprattuto come era possibile contattarla?
Dobbiamo ricordare che i Templi Egizi erano costruiti secondo l’immagine dell’uomo come dimostrato da Schwaller de Lubicz nel suo “Tempio dell’uomo” e che ogni singola camera templare era analoga a membra od organi del corpo umano. Pertanto la Per-Neser o Camera del Fuoco sta ad indicare un punto preciso del nostro corpo che penso si possa collocare tra il cuore ed il plesso solare.
È suggestivo ricordare che nel 22° giorno della gestazione dell’embrione improvvisamente alcune cellule iniziano a pulsare a vibrare come se un suono le facesse sobbalzare. Da questa pulsazione ha origine la circolazione sanguigna e il cuore del feto, cuore che continuerà a pulsare fino alla morte.
Il pensiero che un suono inaudibile generi l’unione dell’alto e del basso, dello spirito e della materia, della tenebra e della Luce mi commuove e genera in me un senso di immensità perché manifesta perfettamente l’immagine e somiglianza dell ’Uomo come emanazione del Divino.
Questo suono segreto era il seme che faceva crescere il corpo di Luce che doveva formarsi in vita per unirsi alla coscienza cosmica.
Questo, secondo gli egizi era il vero fine della vita dell’uomo.
Iside che tiene in braccio il piccolo Horus assume quindi un meraviglioso significato.
Horus è la coscienza solare che supera la coscienza dei cicli di Osiride di morte e rinascita. Horus rappresenta il risveglio della coscienza superiore. Questa via detta Via di Oriente o via Horiana progredisce a balzi audaci e diretti, come il volo del falco, avendo per obiettivo la liberazione. Ed il piccolo Horus sulle ginocchia della madre Iside continua nei millenni ad indicarci il silenzio, ad invitarci a tacere, troppo grande è il suo obiettivo, troppo potente ciò che ci potrebbe dire, e - soprattutto - troppo incomprensibile ai più.
Ankh udja seneb (vita salute e forza)


L.Z.
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Bibliografia:

Isha de Lubicz - Her -Bak Discepolo

Isha de Lubicz - L’apertura del cammino
Schwaller de Lubicz - La teocrazia faraonica
Angelo Gentili - Kemi


l'Arte Reale

[già apparso su Iside, n.0]

Arte Reale, come sinonimo di Massoneria, sotto il profilo terminologico era già in uso nel Settecento, con richiami precisi alla leggenda del Re Salomone. Che cos’è il Rito di Perfezione? Qual è il suo posto nel corpo Massonico, dove trae la sua origine? È ancora valido? I misteri dell’Arte Reale sono accessibili ai soli Iniziati; questa sublime disciplina, nella sua estrinsecazione forma uomini liberi sottratti ad ogni dominazione, Sovrani e Maestri di loro stessi. Per giungere a tale stadio di conoscenza, l’apprendimento e il pensiero devono essere indipendenti, scevri da pregiudizi e da condizionamenti. Pertanto, solo chi è pronto a mettere in discussione desueti schemi mentali, compiendo la conquista di un autonomo ragionamento, potrà trovare la verità; essa si nasconde nel fondo di un pozzo. Ripercorrendo la storia, già nell’antico Egitto, civiltà che ha ispirato concetti, categorie e modalità trasfuse e rielaborate dall’Istituzione Massonica, il termine “Maat” richiamava la regola. Nessun concetto poteva significarne tanti alla pari di “Maat”, che comprendeva l’ordine, la saggezza, la ritualità, la rettitudine, la giustizia, la morale: l’armonia universale. Nel linguaggio dei geroglifici, il Simbolo di “Maat” era lo zoccolo del trono, emblema della Regalità, della rettitudine per eccellenza. Porre la regola per governare con armonia era il compito principale del Sovrano, espressione terrena della divinità; ispirandosi ad essa il Re doveva proteggere il debole dal più forte. Nel gioco degli scacchi, la tavola è stata sovente paragonata al pavimento a mosaico, composta da sessantaquattro caselle in bianco e nero. La partita tra due avversari evoca la lotta dello Spirito contro la Materia: le forze in campo all’inizio sono eguali. Molti degli attacchi vengono indirizzati contro un solo pezzo, il Re; le altre figure, comprimarie, non servono che a difenderlo, l’intero gioco, simula, pertanto, una battaglia ove si avanza, si indietreggia, si attacca e si contrattacca. Il Re è quindi lo Spirito che non scompare, che non può annullarsi. Lo stesso, disceso nella Materia, che lo limita, sebbene possa spostarsi in ogni direzione, non può prudentemente allontanarsi troppo dal suo punto di partenza[1].
Il dono del discernimento, che conduce alla scelta tra il positivo ed il negativo, giunge come frutto naturale di un profondo percorso, in cui l’uomo si è già battuto con sé stesso, ove le emozioni non infuriano, non travolgono, non sono più insopportabili; parimenti, nella Maestria che rappresenta ritualmente l’iniziazione massonica definitiva – il terzo Grado dell’Ordine – il medesimo viene attributo all’Iniziato che è riuscito ad assimilare tutti i segreti della Massoneria – Arte Reale – sforzandosi di trasformare i simboli in realtà. Il percorso di crescita e di elevazione deve essersi compiuto nella sua interiore completezza, forgiando una mente elevata. Non a caso, individui di grande spiritualità e di intuizione, fuori dal comune, sono chiamati comunemente Maestri dell’Umanità o Grandi Anime (Mahatma). Con sovrana coscienza della propria responsabilità, il Maestro Perfetto deve riuscire a sentire oltre quello che appare, scovare la luce nelle ombre, che celano la verità creando una visione ingannevole. Le passioni, i sentimenti, se non canalizzati sviano da ciò che è giusto: le energie vanno indirizzate in maniera univoca e retta. Perseguire il male contamina la coscienza e la fisionomia dell’individuo, minandone la stessa integrità. I Misteri della Maestranza Reale si identificano con quelli della vita e della morte: “Dobbiamo quindi svelare il segreto della Morte trasformatrice, se vogliamo farci un’esatta idea della Nascita e della Vita[2]”.
Dunque, non basta conoscere strumenti o simboli per divenire realmente Maestri, se, di contro, non è stato compreso il significato e la portata profonda degli stessi. Per riallacciare le tradizioni, occorre rivivificare il passato con uno sforzo personale intenso; solo così, gli oggetti non hanno più ombre e si rivelano nella loro interezza, da esaminare con attenzione e giudizio prudente, a volte sospeso. La piena luce conduce alla Tolleranza, che caratterizza la Saggezza dei veri Iniziati.
Hiram non risuscita solo in quanto abbiamo esteriormente recitato la sua parte, ciò che dovrebbe sempre rivivere in ogni Compagno messo ritualmente nella bara e rivivificato è, in realtà, l’essenza dello Spirito Massonico.
Sui grembiuli da Maestro, parte dell’abbigliamento rituale del terzo Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato, si legge “MB”, la parola segreta del Maestro Massone che, secondo la tradizione, ricorda l’espressione pronunciata dai primi che toccarono i resti di Hiram. Secondo alcuni studiosi l’espressione deriverebbe dall’ebraico e avrebbe il significato di “Figlio di Moab”, (della Putrefazione), oppure, “Egli vive nel figlio”. Nei rituali, la marcescenza compenetra il corpo di Hiram, ogni speranza di vita appare perduta. Il Maestro è colui che resiste allo scoraggiamento, che camminando nella sua direzione, affronta con cuore fermo le prove che lo attendono. Così nell’oscurità, formata la catena, il recipiendario, impersonificando Hiram, viene fatto rialzare e vivo – pur essendo morto e decomposto – abbandona nella tomba tutto quello che ostacolava il suo slancio spirituale. Esotericamente la carne lascia le ossa di colui che, avendo dato tutto di sé, giunge allo stadio di scheletro; questo a significare che solo perdendo la Terra si conquista il Cielo. La morte è la liberazione suprema, un principio trasformatore che rinnova tutte le cose con vigore ineluttabile; la scomparsa di un individuo non arreca pregiudizio a ciò che ha compiuto, niente cessa di esistere, tutto continua.
Non distanti appaiono, in questa ottica gli obiettivi che si prefiggevano gli alchimisti: conquistare l’onniscienza, ovvero raggiungere il massimo della comprensione in tutti i campi dello scibile; creare la panacea universale, un rimedio per curare ogni male, generare e prolungare indefinitamente la vita e così la trasmutazione delle sostanze, dei metalli; la ricerca della pietra filosofale.
Oltre ad essere una disciplina fisica e chimica, l’alchimia implica un’esperienza di crescita, tramite un processo di liberazione spirituale dell’operatore. In quest’ottica la scienza alchemica viene a rappresentare una conoscenza metafisica e filosofica, assumendo connotati mistici, ove processi e i simboli alchemici, oltre al significato esplicito, relativo al piano fisico, possiedono un significato interiore, relativo allo sviluppo spirituale[3].
L’alchimia, sotto il profilo esoterico, pone quale fine immediato la trasformazione del piombo (posto simbolicamente a rappresentare l’elemento pesante, oscuro, negativo), in oro, definibile, di contro, come il lato positivo nell’uomo, il Principio stesso di tutte le cose[4].
La trasmutazione dei metalli in oro non concretizza, tuttavia, il reale scopo dell’alchimia. Infatti, il simbolismo connesso agli elementi metallici, non va interpretata solo come il risultato di un operazione chimica, ma come un simmetrico spontaneo avanzamento non ordinario dello stato spirituale. La possibile traslazione sul piano interiore ha la valenza di evento “miracoloso”, non meno fondante dell’improvvisa produzione di oro da un metallo basico[5]. Si compie quindi, un processo continuo di armonizzazione tra il bianco ed il nero, tra innumerevoli forze in gioco che interagiscono tra loro – pensieri, emozioni, passioni, opinioni, intenzioni – che vengono canalizzate per il Bene Comune.
Nella saggistica moderna, il recente romanzo L’alchimista di Paulo Coelho sfrutta due temi ricorrenti nella letteratura mondiale: il sogno e il viaggio – inteso, come un insieme di prove – che è la rappresentazione allegorica del processo di crescita, elevazione costante trasformazione dell’Uomo. Il giovane Santiago, suo protagonista imparerà, o meglio, riconoscerà quel linguaggio simbolico e universale che gli permetterà di penetrare l’Anima del Mondo, ovvero di cogliere tutti quei “segnali” che l’Universo invia a coloro che desiderano con tutto il cuore realizzare la propria Leggenda Personale. “Ascolta il tuo cuore. Esso conosce tutte le cose[6]”.
In conclusione l’Arte Reale, analizzata nelle sue possibili accezioni, prospetta un cammino ove il Maestro deve conformarsi ai dettami del solo Spirito senza dipendenza alcuna; afferrato lo scettro che comanda il proprio io, diverrà egli stesso guida e Sovrano. Il sapere iniziatico, con i suoi Misteri, si rivela a chi sa entrare nella notte interiore della coscienza. Il passato fornisce le chiavi di lettura del futuro; elevandosi al di sopra del presente, l’uomo realizza l’ideale della Creazione, conformando il suo Microcosmo all’armonia del Macrocosmo. Il vero Maestro si consacra al grande Lavoro Costruttivo, Hiram rivive in lui quando lo spirito massonico indirizza a cooperare, ad essere parte del progresso Universale. Nella Maestranza Reale si deve morire ad ogni egoismo per giungere ad un identificazione tra il proprio operato e la Grande Opera: il piano del Grande Architetto dell’Universo in cui tutto è Giusto e Perfetto.

Pierpaola Meledandri

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Note:

1 J. Boucher, La simbologia Massonica, Roma 1975.
2 O. Wirth, La Massoneria resa comprensibile ai suoi adepti; III il Maestro, Roma 1990.
3. O.M. Aïvanhov, Il lavoro alchemico ovvero la ricerca della perfezione, Rimini 1996.
4. Fulcanelli, Les Demeures philosophales et le symbolisme hermétique, trad. it. Le dimore filosofali, vol. I, Roma 1973, p. 86.
5. T. Burckhardt, Alchimia, significato e visione del Mondo, Milano 2009.
6.P. Coelho, L’alchimista, Milano 2012.


L'Arcano dell'Eremita e il Maestro Segreto

L'Eremita - Arcano Maggiore al numero nove (dispari, multiplo di tre) - simbolicamente rappresenta sia la fine che il principio.
Kabalisticamente è Jesod, base, fondamento, incrocio tra coscienza e materia, idea della creazione. Il numero nove preannuncia una fine, il compimento di un ciclo, e nello stesso tempo, l'inizio di una nuova fase della vita. Questo numero racchiude il senso della morte, della trasformazione, di una nuova nascita. Dalla perfezione dell’otto, che capovolto disegna le due ellissi dell'infinito, l’unica evoluzione possibile è il passaggio verso l’ignoto: il nove. Come il bambino, al nono mese, si accinge a nascere, così l’Eremita accetta di abbandonare la perfezione per mettersi in moto senza sapere in quale direzione andare; sembra, infatti, nelle vari rappresentazioni della Lama, incedere all'indietro.
Oswald Wirth, nei Tarocchi, definisce l'Eremita come “un vecchio esperto, che conosce il passato, al quale s’ispira per preparare l'avvenire; la sua andatura è prudente e, armato di una canna di bambù dai sette nodi mistici, sonda il terreno sul quale avanza lentamente senza fermarsi”. Così, se incontra sul cammino il serpente, agisce, affinché il rettile si attorcigli attorno al bastone che, come quello di Esculapio, rappresenta le correnti vitali che il taumaturgo capta per esercitare la sua medicina.
Nei noti Tarocchi di Marsiglia l’Eremita è rappresentato nelle sembianze di un vecchio, avvolto in un mantello, che procede per la sua strada facendosi luce con una lanterna, alta nella mano destra, mentre con la sinistra si appoggia al descritto bastone.
La lanterna può essere considerata effige della conoscenza. La luce della lanterna potrebbe essere, così, luce interiore, barlume segreto noto solo agli iniziati, fonte di saggezza offerta a coloro che accettino di farsi discepoli e vadano alla sua ricerca.
L'Arcano racchiude l'ambivalenza tra azione e ricezione, la luce può essere principio attivo e, quindi, richiamo a destare la coscienza altrui, oppure passivo: l’Eremita incede senza chiedere lumi a nessun'altro che a se stesso.
Il lungo bastone racchiude il cammino scelto, il pellegrinaggio, è quindi l'unico contatto con la terra (i piedi sono spesso nascosti sotto il mantello), può captarne l’energia: che, dunque, può arrivare direttamente allo spirito.
L’Eremita cammina un po' curvo, con prudenza e lentamente; dal suo viso traspare una saggezza acquisita negli anni, nel distacco dal mondo e nella rinuncia alle vanità terrene; lo dimostra anche il suo abbigliamento, essenziale, ma non lacero.  
La stoffa interna del mantello è, infatti, più preziosa di quella esterna, manifestando, così, che le ricchezze interiori travalicano quanto sia meramente esteriore. I capelli e la barba lo caratterizzano come un vecchio, eterno errante, è l'Arcano della concentrazione, della metodica ricerca della verità, del cammino interiore. L'Eremita è il Tempo che lavora a favore dell'uomo, questa carta si riferisce a tutto ciò che è destinato a un'evoluzione profonda, segreta, come la gestazione invernale del seme nella terra.
Rappresenta le prove superate, ma esse non sono di ordine pratico: sono prove d’iniziazione che racchiudono il mistero che non va svelato: la prudenza, la discrezione, la riservatezza, la pazienza, la costanza del dovere.
La Prudenza, deve essere intesa come una vigilanza sempre pronta, in grado di cogliere il momento d’illuminazione nel quotidiano. L'isolamento è così una condizione necessaria per entrare in sintonia con il proprio ego e con l'Universo intero
L'Eremita, distaccato dalle contingenze quotidiane, diviene Maestro Segreto: tesse la sua tela immateriale, invisibile, atta a condizionare lo scorrere del futuro, il divenire; quanto deve prendere ancora forma, si compie nell'oscuro antro ove operano energie sottili, cospirazione e mistero. Le energie richiamate e accumulate nell'isolamento, dispiegheranno tutta la loro forza all'occorrenza.
Prima di realizzarsi tutto preesiste, sul piano astrale; l'Eremita, al pari del Maestro Segreto è capace di discernere ciò che è in gestazione, di dirigere il lavoro altrui. Non a caso, la leggenda dei Maestri Segreti racconta della morte del Maestro Hiram, ucciso dai cattivi Compagni, che poi ne nascosero il corpo. Un incorruttibile ramoscello d'acacia, mentre avanzava il processo di dissoluzione del corpo, permette ai Sette Maestri inviati sulle sue tracce di ritrovarlo.
Ecco che tutto il percorso iniziatico produce questo evento: la resurrezione dello spirito in Hiram, che nell'animo di tutti coloro che giungono alla conoscenza (la vera maestranza iniziatica), oltrepassa il concetto della morte fisica, superandola nell'aforisma: L'IMMORTALITÀ MI È NOTA.
Nel Maestro Segreto, la spiritualità ne rischiara la saggezza. La segretezza diviene una dimensione della coscienza, non percettibile all'esterno, se non come esito di una progressiva espansione delle sue facoltà, in quanto iniziato. Il silenzio, il segreto, la fedeltà sono esaltati a virtù, l'uno diviene funzione dell'altro: senza la prudenza e senno nessuna costruzione, neppure interiore, è possibile. Il male e la menzogna minano le fondamenta del Tempio, cui ciascun Maestro Segreto è chiamato a proseguire la costruzione. La vittoria che conseguirà nel suo percorso è contro il pregiudizio, le passioni. La corona d'alloro e d'ulivo che verrà posta sul capo significa l'essersi battuto, superando ogni prova verso il trionfo della Luce.
In una costruzione occulta, quanto reale, le forze generatrici esistono su un piano astratto (astrale), l'Eremita è così il Maestro Segreto che lavora su un virtuale tavolo da disegno.
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Il creato prima di prendere corpo preesiste, nel mondo delle idee, come intenzione vivente del dinamismo realizzatore (faber).

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Pierpaola Meledandri